Presentazione - A Giava con Honoré De Balzac

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Lo spirito umano ha sempre subito il fascino di terre lontane alle quali attribuire doti di bellezza e felicità assolute e l’attrazione per l’esotico - dal greco exotikòs che viene da fuori, che proviene da paesi lontani - si è manifestata in varie forme. A volte, la suggestione esotica era simboleggiata dai fasti di una civiltà remota, raffinata e preziosa, altre volte l’esotismo si è manifestato nel vagheg­giamento di una semplicità e una sincerità assolute, quali esistono nei paesi in cui lo stato di natura è ancora intatto.
 
Gli scrittori hanno espresso in modo diverso questo mito, a seconda delle epoche. Per i dram­maturghi inglesi dell’età elisabettiana, una contrada esotica è l’Italia, con le sue corti piene di intrighi e di corruzione. Essi contrappongono il paese latino, i suoi costumi strani e corrotti, la sua anarchia morale e sentimentale, la sua gioia di vivere libera e istintiva al calcolo e al freddo razionalismo della rigida e conformista società anglosassone. Ne è un esempio Shakespeare, con II Mercante di Venezia, I due gentiluomini di Verona e La tempesta. Anche Samuel Johnson nel Volpone ambienta a Venezia una storia singolare di intrighi e di raggiri per impossessarsi di un’eredità. Lo stesso fa Webster con La Duchessa di Amalfi, una tragedia con una fosca e sanguinosa vicenda di vendette che si svol­gono nel XVI secolo tra Amalfi, Roma e Milano.
 
A partire dal Medioevo i viaggi di Marco Polo e le Crociate cominciano a favorire i contatti fra le diverse culture e ad arricchire le scarse conoscenze geografiche. Nel ’700 e nell’800 le scoperte degli esploratori e le loro relazioni di viaggio - a volte, purtroppo, poco veridiche - favoriscono la diffu­sione di una curiosità vera per abitudini, religione, organizzazione sociale e politica di contrade lonta­ne. La geografia si va facendo un po’ meno indefi­nita e la realtà oggettiva ha più spazio rispetto alla fantasia e alle immagini stereotipate. Ma l’esotismo con i suoi miti, i suoi riti e i suoi misteri continua ad affascinare. Proprio nel ’700, in Francia, la pub­blicazione della traduzione delle Mille e una Notte di Galland lo riporta in auge.
 
Dalla seconda metà dell’800 in poi, il battello a vapore e il treno cambiano le condizioni materiali del viaggio e danno origine al turismo di massa. Il viaggio è sempre meno immaginato e sempre di più realmente compiuto, ma l’influenza dell’ele­mento esotico continua a farsi sentire. Chateau­briand, che ha compiuto un lungo viaggio in Oriente e che sostiene che vi sono ormai troppe relazioni su Costantinopoli per aver voglia di par­larne ancora, sceglie l’America come luogo di ambientazione esotica per due dei suoi romanzi. Atala è la vicenda d’amore di due indiani della Louisiana e ha l’intento di mostrare “le armonie della religione con le scene della natura e le pas­sioni del cuore umano”. Ne I Natchez egli sostiene la superiorità dello stato di natura, rappresentato come un paradiso perduto, sull’organizzazione sociale.
 
Nel ’900, la televisione porta nelle case le immagini dei più sperduti angoli della terra. La conoscenza diretta di persone e fatti fanno scom­parire l’elemento esotico, basato su molti pregiudi­zi e che, come tale, assume una connotazione nega­tiva. Ma il fascino di terre lontane e il bisogno di evasione resiste, si rivolge al di là della storia e al di là della terra: diventa fantascienza.



Se la botanica ha smentito l’esistenza dell’upas, ci ha fornito nel tempo informazioni sempre più dettagliate sulle caratteristiche di piante come il tabacco, portato in Europa da Cristoforo Colom­bo. Balzac espone con molta precisione gli effetti derivanti dal suo abuso: vertigini, disturbi del­l’equilibrio, azione irritante delle vie respiratorie... Oggi noi sappiamo che essi sono causati dalle sostanze acide e catramose che si formano durante la combustione della cellulosa nonché dalla nicoti­na, che lo scrittore non nomina mai. Per una ragio­ne molto semplice: la nicotina è stata scoperta sol­tanto più tardi, nel 1865. Lo stesso vale per la caf­feina, scoperta nel 1875, trentasei anni dopo il libro di Balzac, inserito nel 1839 nella sezione “Stu­di analitici” della Commedia umana.

Tuttavia, Bal­zac descrive con accuratezza gli effetti dell’uso di caffè: stimolazione del sistema nervoso, chiarezza di idee, lucidità di memoria, facilità di ragiona­mento e di parola, senso di benessere e di lieve euforia, scomparsa della stanchezza, stimolo dell’apparato muscolare, aumento delle secrezioni gastriche con effetto favorevole sulla digestione... e anche quelli dell’abuso: palpitazioni, disturbo del ritmo cardiaco, tremori, sudorazione, ipereccitabi­lità nervosa, acidità di stomaco e insonnia. Per questa descrizione, lo scrittore si avvale della pro­pria esperienza di caffeinomane. Infatti, proprio lui, che in questo testo raccomanda la moderazio­ne, non l’ha mai messa in pratica in prima persona ed è morto a soli 51 anni di ipertrofia cardiaca, causata da eccesso di caffè. Ma questo nettare mortale ha fatto scaturire dalla sua mente “come da un rubinetto aperto” le bellissime storie in cui si muovono i duemilacinquecento personaggi da lui creati.

Di questa sua amata bevanda, di cui offriva volentieri degustazioni agli amici, conosciamo anche la ricetta: una miscela di Borbone, Martini­ca e Moka. Però se Balzac ha consumato caffè in abbondanza, in compenso non ha mai toccato l’alcool. Per questo, l’episodio della sua ubriachez­za deve essere stato un avvenimento talmente raro ed eccezionale da indurlo a riportarlo quasi identi­co nei due racconti. Dato che le bottiglie scolate, in compagnia di un amico, erano state diciassette, non c’è da stupirsi se avevano lasciato come conse­guenza una percezione alterata e distorta della realtà con fenomeni allucinatori e travisamenti di quello che gli stava intorno... Gli altri eccitanti moderni di cui parla e il cui abuso è in grado di modificare la società, sono l’alcool, il tè e, curiosa­mente, lo zucchero.
 
Con il suo tono a volte apocalittico, a volte predicatorio, sempre intriso di un’ironia leggera, questo trattato balzachiano redatto ‘tra il serio e il faceto’ fa tornare in mente il titolo di un vecchio film: La situazione è tragica ma non seria.

 



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